Il Piccione Viaggiatore - Risposta alla lettera seconda
Risposta alla lettera seconda
Da un`idea della Direzione Artistica della dante Genk, a cura di Alice Lenaz, in collaborazione con la scrittrice Manù Blanca.
Eivissa, 28 febbraio 2022
Amor,
le ali del nostro piccione hanno trovato subito sollievo al suo ritorno, accolte da venti tiepidi profumati di mandorle. È così che l’isola annuncia l’inizio del mese più fugace dell’anno, paladino del sentimento eterno. I rami storti, nudi e sgraziati fino a ieri, si addolciscono di piccole gemme bianche e rosa, esaltate dalla ruvidità cupa del tronco sulle sfumature di un blu che aggancia cielo e mare. L’idillio di contrasto dura poco, solo poche settimane di perfetta armonia tra la durezza della corteccia e la delicatezza del petalo, quasi a ricordare la fragilità della bellezza. In questo equilibrio naturale scorgo il riverbero dell’amore da cui tutto ha inizio e mai fine e mi scopro romantica.
Rincuorata dal suo riflesso e dalle parole della tua lettera, lascio correre la mente nello sterminato prato dell’amore, dimenticando per un attimo le dimensioni umane che lo limitano con vincoli e giudizi per ricordarne la libertà dell’essenza, la stessa cantata in migliaia di versi e melodie da altrettanti avventurosi dall’inizio dei tempi. Una ricerca questa che passa attraverso secoli di umanità, sviata da credenze e bisogni che spesso hanno compresso l’incontenibile forza del sentimento nello spazio ristretto di due binari, pensando forse così di ridurne l’apparente spaventosa profondità. Ma l’energia che tutto muove ha origine divina e noi, suoi figli, aneliamo ri-trovarla per ri-trovarci, non c’è rimedio se non quella di seguirla nei meandri più reconditi, a costo di venir risucchiati dalla voragine delle incertezze della mente che vorrebbe la logica a comandare sull’anima.
E se le espressioni d’amore hanno subìto una metamorfosi di forma e sostanza, la sua natura intrinseca si è mantenuta inalterata quando dall’equazione si sono sottratti ego, illusione e aspettativa. Spogliato di un’armatura inutile e pesante, resta la fluidità della connessione di anime che si riflettono l’una nell’altra, senza sforzo o costrizione, una dualità che diventa unicità, che non esclude nulla e che accoglie tutto. Alla visione romantica del “...e vissero felici e contenti” ho sempre preferito quella più reale e vera che ammette il dolore, la tristezza, la sofferenza, non certo come fine ultimo, ma come snodi del rapporto amoroso, di qualunque natura si parli. Ricordo una Pasqua di alcuni anni fa, quando ti regalai una campana di cioccolato fondente e “L’altra verità”, un libro della poetessa italiana per eccellenza, Alda Merini, in cui l’amore è fulcro dell’esistenza stessa che Lei traduce in versi così:
“L’amore è sofferenza, pianto, gioia, sorriso. L’amore è felicità, tristezza e tormento. Non si ama con il cuore, si ama con l’anima che si impregna di storia. Non si ama se non si soffre e non si ama se non si ha paura di perdere. Ma quando ami vivi, forse male, forse bene, ma vivi. Allora muori quando smetti di amare, scompari quando non sei più amato. Se l’amore ti ferisce, cura le tue cicatrici e credici, sei vivo… Perchè vivi per chi ami e per chi ti ama.”
L’amore accetta tutto, comprende tutto, si compone di tutto: luce ed ombra, gioia e dolore, tristezza e felicità; gli uni non esistono senza gli altri, escluderne uno significherebbe annientare l’altro. Ed è per questo che per La Poetessa si è vivi solo quando si ama e si è amati, quando quell’energia vitale aggancia la tua vita a quella di qualcun altro in un circolo infinito che passa attraverso tutte le sfumature dell’animo umano. Senza amore non è possibile sentirsi vivi, è l’amore a segnare il confine tra la vita e la morte, per la stessa ragione l’amore rende immortali. Ho sempre ammirato la veracità poetica di Alda Merini, una donna che non ha avuto sconti dalla sua epoca, che nonostante i segni indelebili del dolore profondamente incisi nella sua anima non ha mai abbandonato la vita, amando in ogni modo possibile, anche rinchiusa dentro un manicomio dove passerà quasi 10 anni della sua esistenza. È sempre l’amore a salvarla, non rinuncia mai a cercarlo e a viverlo incondizionatamente, con il cuore e con il corpo, non c’è vergogna, non c’è ritegno nei suoi versi tanto strazianti quanto delicati.
La connessione amore/morte è un tema centrale nelle opere dei maggiori esponenti della letteratura e della poesia italiane. La fragilità umana di Leopardi, per citarne uno, si riversa totalmente nelle parole che dedica agli amori delusi ed illusi che hanno costellato la sua esperienza terrena. Il bisogno di amare ed essere amato viene portato all’estremo dal poeta marchigiano che fa della sofferenza un elemento imprescindibile del sentimento amoroso, legato ad una felicità sfuggente alla concezione umana e spesso idealizzata dall’oggetto del desiderio. Il rapporto genetico tra amore e morte riproposto ne “I Canti Fiorentini” crea quasi una fratellanza tra i due che dà una visione positivistica della morte proprio perchè strettamente connessa con l’amore. Leopardi la rappresenta con la figura di una bellissima fanciulla, dotata di dolcezza, gentilezza e pietà perchè libera da qualunque sofferenza. Nella sua ricerca costante di amore e soddisfazione, Leopardi non abbandona mai il desiderio di trovare quella felicità per cui ogni uomo vive, a dispetto di una vita difficoltosa ed emarginata che include la consapevolezza di non aver altra alternativa se non quella di tentare, restando coerenti con la propria anima.
Quest’aspetto particolare del poeta da tutti giudicato “pessimista”, viene ripreso da un autore contemporaneo che apprezzo molto, Alessandro D’Avenia, nel suo libro “L’arte di essere fragili” in cui si scopre un Leopardi innamorato della vita nonostante le problematiche famigliari e sociali, che cerca di dare risposta ai quesiti esistenziali dell’uomo, trasformando giorno per giorno la fragilità terrena in ricerca dell’infinito. Alessandro ha un immaginario rapporto epistolare con Giacomo, a cui rivolge domande eterne sulla felicità, sulla vita, sull’amore e di cui ammira profondamente la lealtà verso la sua indole letteraria da cui non si distacca mai, nemmeno difronte alle numerose delusioni cui è destinato. La capacità di mantenersi fedeli a se stessi nel perseguire i propri desideri di realizzazione è la forma di amore più sublime, eleva l’anima verso la sua vera essenza; il contrario comporterebbe una vita non vissuta pienamente e, pertanto, priva di amore.
D’Avenia affronta il tema amoroso in tutte le sue opere, sempre ricercando nuove sfacettature e punti di vista alternativi sulla base dell’impossibilità di darne una definizione unica e precisa. Ne “Ogni storia è una storia d’amore” si chiede se davvero l’amore può salvarci ripercorrendo il mito di Orfeo e Euridice, archetipo di ogni storia d’amore, attraverso quella di grandi artisti viste dagli occhi delle donne che li hanno accompagnati durante la loro vita e che quasi sempre hanno dovuto sacrificare il proprio sentimento in nome di un amore più alto, quello per la Musa, e soffrire la mancanza di una dedizione completa. Tipi di amore molti diversi tra loro, tutti accomunati da una forza incontrastabile che trascina gli animi senza possibilità di resa, nemmeno difronte alla sofferenza.
Perchè, forse, cara amica, l’amore non può essere spiegato, non con parole umane e nemmeno rappresentato, non con gesti umani, fino a quando lo si guarda con occhi umani. E allora, torno ai canti di Salomone alla sua Sulammita, al tocco lieve degli sguardi che vibra nell’etere e che non necessita materialità per esistere, al profumo di ambrosia dei capelli che aleggia nel vento, al battito di due cuori che si uniscono nella frequenza dell’Amore. Forse è questa la salvezza…
Affido al piccione i miei pensieri, certa della sua lealtà e a te rivolgo il mio di Amore.
Manú
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