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COME SUCCO DI MELOGRANO

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John Everett Millais, Ophelia, 1851/52

…Come succo di Melograno…ti sussurro la mia storia

 

M’intenerisce…la tensione umana che trascina gli artisti a creare…mi commuove. Serrano gli occhi e aspettano che il lume di un idea li baci sulle labbra, solo allora muovono le mani. Non sanno….non vedono, la moltitudine di muse che sull’aria gli siedono accanto. Per ogni spirito creativo una ghirlanda di spettri, di voci e sussurri, di morsi e carezze. Ci sentono con la pelle, gli artisti, ci scrutano nel lampo di un raggio di sole…essi vedono, vedono con gli occhi chiusi. Quando poi il flusso è compiuto e il cerchio si è chiuso, solo allora, spalancano le palpebre per lasciar entrare il frutto della loro concentrazione. Si meravigliano come bambini…restano fermi e si chiedono dove mai dimorasse quell’idea ritrovata, in quale sperduto spigolo della memoria fosse rimasta incastrata sino a quel momento.

Mi fanno tenerezza…non sanno che è sotto dettatura che inventano i mondi, non sanno che attraverso i pennelli, la musica e le parole, non fanno altro che tendere la mano a noi…noi, flutti d’aria, noi che non siamo più materia, noi che non viviamo seppur fatti di sospiri.

Il tempo…noi conosciamo bene la sua forma. Il tempo è una sfera. Non pulsa, non c’è alcun ritmo…il tempo è qui e ora. E proprio adesso che sbircio nello studio di un pittore, proprio adesso che il tempo ha un numero, 1852, in questo preciso istante posso rivedere il mio volto e la mia storia. Tutti sanno che gli specchi non servono, che sono inutili…ma i quadri…quelli ancora sanno riflettere.

Miliardi di respiri per un’intera vita e poi finalmente l’ultimo…quello che ci trasforma, luminoso come il primo. Il mio fu gonfio d’acqua, per scelta mia. Troppo greve il peso di un cuore vuoto, colmo solo dei pensieri miei. Non mi ci volle molto, un lieve galleggiare e poi il mulinello…i miei capelli a fare la ruota, così lenti non li avevo mai veduti…pochi pesci stupefatti e poi la palude di fango sui sassi, sul fondo. Il buio si fece d’improvviso d’ un blu intenso poi virò al viola e via via ripercorse ogni grado dell’arcobaleno sino ad accecarmi. Respirai di nuovo ma senza avvertire il movimento del petto. Non saprei dire quante centinaia di anni rimasi seduta in quell’attimo…non saprei dire. Compresi il mio ruolo solo quando mi apparve quel giovane scrittore…un anima dalla cui testa sbocciava un raggio di sole…un faro per noi.

Chiusi gli occhi e mi ritrovai al suo fianco, tra le candele le piume e l’inchiostro. Una spirale luminosa mi avvolse e mi strizzò così forte che la mia storia grondò nella sua penna, come succo di melograno.

Scrisse intere notti. Raccontò della mia mancata nobiltà, si dilungò sul profondo amore che mi legò al mio caro padre, centrò come la punta di una spada il dolore dell’amore mio ingannato sino a lasciarmi morire di nuovo. Attinse al distillato che fu la mia vita, senza neppure saperlo. Ricordo la sua fierezza, il suo orgoglio a manoscritto compiuto…” Che bella storia ho inventato….” Pensò.

Mai in vita provai tanta dolcezza.

Nei secoli ascoltai molte voci recitare le parole del poeta, dell’essenza che fui…Quel nome non è il mio…si sa, gli artisti qualche volta s’impongono, la sua idea fu così forte da zittire il mio sussurro…pensò “ Ofelia….” E gli piaque così tanto da innamorarsene subito. Così, io che ho imparato a non insistere, l’ho lasciato fare.

Tutto accadde un istante fa…giurerei che non passò più tempo di quello che ci impiega una porta che si chiude per una folata di vento…e ora la mia storia s’è fatta di tela e colori.

Mille volte l’ho spiato…l’ho seguito laggiù nel bosco dove trovò il mio fiume, l’ho condotto sotto ai salici a raccogliere i fiori che avevo fra le mani…come quelli che reggono le spose. Violette, che` sempre rimasi fedele, Margherite, innocenti come il bianco, rose selvatiche, che la mia terrena bellezza non era comune, Nontiscordardime, che per sempre sarà vivo il suo ricordo e poi Papaveri…la mia ultima scelta.

Iniziò a dipingere la mia tomba in autunno…attese l’inverno per potermi ritrarre. Mi riconobbe nel volto di Elisabeth…giovane musa di vera carne, costretta a posare per ore in una tinozza piena d’acqua scaldata da poche candele. Com’è bella…com’è viva…certo lei non salterebbe mai nel fiume in piena.

Sono libera ora…ora che la scrittura e la pittura hanno da me attinto, posso scegliere di nuovo…posso essere ancora una volta quella che inventa.

Gli artisti mi fanno tenerezza…più vicini al cielo che alla terra, credono d’inventare…ma il loro ruolo vale ben di più di così.

Alice Claudia Lenaz

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